martedì 12 gennaio 2016

La vera città di Troia

Cosa c'è di vero nelle scoperte del leggendario Schliemann?


Nel 1868, il dilettante milionario Heinrich Schliemann realizzò il suo sogno e quello di tanti altri lettori scoprendo i resti della vera Troia omerica. In seguito ritrovò il tesoro di Priamo e, con gli scavi compiuti fra Micene, Orcomeno e Tirinto, la maschera funeraria di Agamennone. Figlio di un pastore luterano, aveva deciso di diventare commerciante proprio per realizzare questa chimera, motivo per cui le diffidenze del mondo accademico lo perseguitarono fino a farlo diventare una leggenda. Tutti avevano la mappa, ma solo lui, grazie alla lettura ingenua ma attenta dei poemi, aveva scoperto il tesoro. Avventuriero? Predatore? Solo malelingue o c’era un fondo di verità? In realtà, tutte le ricchezze finirono nei musei d’Europa, dunque potremmo pensare che si trattasse di un appassionato che, grazie allo spirito imprenditoriale, era riuscito a raggiungere il suo scopo. Da lettere e diari, però, scopriamo che alcuni dati sono stati distorti, se non addirittura falsificati. Per la Dea Kubaba-Kybele! Io non voglio farne un eroe, ma nemmeno un delinquente.
Non piace a tutti continuare a sognare? Dettaglio in più, dettaglio in meno...
Pare che la cittadella fosse la maggiore della Troade, area ittita dell’attuale Turchia. I due edifici centrali, il palazzo reale e il Tempio, contrastavano in mole con le case addossate internamente alle mura, e facevano spiccare, in lontananza, lo spiazzo nella pavimentazione adibito a serbatoio, giusto a est delle macerie della larga cisterna esistente prima del terremoto di molti anni prima. Si trattava della fonte d’acqua pubblica. Altre provvigioni d’acqua erano collocate nei pavimenti a nido d’ape delle abitazioni, come deposito, sotto il livello del suolo, oppure nelle giare usate anche per l’olio d’oliva - mai trovata fu più funesta, se la leggenda è realtà... - a piano terra, poiché nelle case si viveva al primo piano, e a quello inferiore, utilizzato di solito come magazzino, si giungeva tramite scale.
Adesso immaginiamo Omero che ci racconta di questi principi nemici che volevano il controllo della thàlassa. Selvaggi, come se non avessero visto il mare prima d’allora, pretesero d’imporre in ogni modo la loro egemonia sull’Elléspontos. Arrivarono così i rozzi pastori di Knossòs, gli scaltri pirati di Ithàke, gli artigiani di Pylos, gli statuari ladroni di Mikene e i maledetti assassini della Thessalia.
Ma agli avidi Mikenaìoi, in verità, poco importava la costruzione di colonie su quelle terre. Una volta impossessatisi di un ricco bottino, preferirono tornare a casa. Il bramato transito delle merci, attraverso il canale dell’Elléspontos, permise loro di spremere le miniere d’oro, argento, piombo e zinco; di catturare i tonni del canale e di estirpare le foreste, da cui ricavarono il legname necessario alla costruzione di nuove navi.
Le Dea ci canterà tuttavia in eterno l’ira funesta del Pelìde Achille.

Per saperne di più:

Leo Deuel – Sulle tracce di Heinrich Schliemann (Garzanti)
David A. Traill – La verità perduta di Troia (Newton Compton)
Paul Faure – La vita quotidiana in Grecia ai tempi della guerra di Troia (BUR)
James G. Mcqueen – Gli Ittiti (Newton Compton)

Nessun commento:

Posta un commento